Avevo 12 anni quando i miei genitori realizzarono per la prima volta il loro sogno di aprire il proprio ristorante italiano. All’inizio, come di solito vanno queste cose, provavo un certo risentimento per avermi fatto lavorare dopo la scuola e nei fine settimana, quando la maggior parte dei miei amici usciva e faceva ciò che fanno i bambini. Poi col tempo, crescendo proprio in quel ristorante, ho scoperto che quegli amici spesso non avevano la stessa esperienza con il cibo e la convivialità che i miei genitori, appena arrivati in America, riuscivano a creare a casa. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia con due grandi chef e di poter godere di quella che considero ancora oggi la migliore cucina al mondo. Oltre al sapore dei piatti, c’era qualcosa in più…un aspetto comunitario e condiviso del mangiare che era speciale. I pasti erano sempre un evento. Tutta la famiglia si riuniva attorno alla tavola e spesso rimaneva lì per ore (anche se noi bambini ci annoiavamo subito e correvamo a giocare). L’ora del pranzo o della cena era gioiosa, piena di conversazione e risate. E un sacco di vino.

Questo è ciò che i miei genitori hanno voluto riprodurre per i loro clienti. Mio padre, chef tipicamente italiano, ha da sempre preparato i suoi piatti da zero, acquistando le migliori materie prime su cui poteva mettere mano, mentre mia madre si assicurava che i clienti si sentissero a casa, stando in conversazione e facendo sempre ridere tutti. E la gente continuava a tornare sia perché il cibo dello chef Tony era sempre coerente e ottimo, ma anche perché mamma Filomena li avrebbe fatti sentire a casa: ciò che io ho avuto la fortuna di vivere in prima persona.

Poi c’era il vino. Crescendo, il vino era una costante a tavola. Un pasto non era completo senza di esso. Mai in eccesso, solo un bicchiere (o due) per accompagnare il cibo. Il vino era solitamente italiano e il più delle volte fatto in casa. I miei genitori ancora oggi fanno il loro vino, sperimentando diversi blend, diversi contenitori per l’invecchiamento. E noi figli abbiamo sempre avuto modo di provare il prodotto finito, anche se non avevo il palato di oggi. Lentamente, lavorando nel ristorante, ho iniziato a capire il legame che i vini hanno con il cibo. Quanto bere il vino giusto, di solito italiano, fosse complementare con il cibo e viceversa. Mi sono innamorato di come una cosa così apparentemente semplice potesse assumere così tanti stili, sapori, personalità diversi. Ho imparato molto dai rappresentanti che ci fornivano i vini e ancora di più dagli stessi viticoltori quando partecipavo alle degustazioni del settore. Dopo l’università ho deciso di andare direttamente alla fonte e conoscere il vino italiano, in Italia. Così mi sono iscritto ad un corso di sommelier a Roma.

Ho avuto molto da quel corso. Ho imparato a conoscere la regionalità del vino italiano, come le uve autoctone di una particolare zona sono strettamente legate al suo terreno, al clima, alle tradizioni enologiche e così via, per creare uno stile unico. Ho imparato che il cibo proveniente da una determinata zona va sempre di pari passo con il vino prodotto. Ho imparato che la varietà di vini solo in Italia era molto più grande di quanto potessi immaginare. Ma ho anche imparato molto vivendo in Italia. Ho assistito ancora una volta alla convivialità dell’ora dei pasti. Gruppi di italiani che passavano ore a chiacchierare e ridere a tavola, molto tempo dopo aver finito di mangiare. Ho visto ristoranti a conduzione familiare, abbastanza simili a quello in cui sono cresciuto, accogliere i clienti come se fossero parte della famiglia. E ancora una volta, il vino era la costante. A pranzo e a cena. Sui tavoli di uomini d’affari e di giovani amici. Era sì un “lubrificante sociale”, ma altrettanto importante quanto il cibo stesso.

Questa è la stessa visione che ho ritrovato quando ho scoperto VinoRoma per la prima volta. La fondatrice, Hande Leimer, lei stessa estranea all’Italia, stava portando avanti questi stessi concetti. Ci siamo subito intesi e ho colto l’occasione per entrare a far parte del team VinoRoma. Nel corso di questi ultimi dieci anni ho apprezzato il mio ruolo di diffondere la buona parola del vino e della cultura italiana a migliaia di clienti che, giunti tramite passaparola o grazie a recensioni positive, hanno continuato a prenotare degustazioni con noi. Poi è arrivato il 2020 e la pandemia globale, che ha chiuso le porte del turismo e dell’ospitalità. Ma si è rivelata anche un’occasione perfetta di
riflessione per tutti noi di VinoRoma. Un’opportunità per Hande, che ha lavorato tanto per costruire questa attività e farla diventare ciò che è oggi, nel fare un passo indietro e un’incredibile opportunità per me di prendere le redini e far ripartire VinoRoma con il suo prossimo capitolo.

Ciò che Hande ha creato non cambierà. Offriremo ancora le stesse degustazioni di vini e tour enogastronomici che hanno attirato persone da tutte le parti del mondo durante questi anni. Daremo semplicemente qualcosa in più. Più tipi di degustazioni. Esperienze più esclusive. Più master e altri eventi unici. Più possibilità di incontrare persone che la pensano allo stesso modo, sia italiane che straniere, e imparare l’una dall’altra. Vogliamo costruire una community di appassionati di vino di ogni sorta, dagli esperti ai principianti. Tutti dovranno sentirsi i benvenuti e mai intimiditi. VinoRoma è da sempre un’associazione culturale e scuola di vino. Il nostro obiettivo è quello di combinare l’aspetto sociale con quello formativo, di creare un luogo di incontro in questa grande e unica città dove le persone possono venire, bere buon vino e apprendere qualcosa. Come Hande direbbe (con tante scuse al signor Pollan): “Bevi vino. Non troppo. Soprattutto italiano”. Potremmo solo aggiungere: “Condividilo con gli altri”.


Maurizio Di Franco

Titolare, VinoRoma